Quando i miei figli sono nati, esisteva ancora un ristorante che si chiamava China Snack Bar, in via Giusti a Milano. Tutte e due le volte che sono diventato padre, la sera, con tutti i miei amici sono andato lì a festeggiare.
Era spartano, i tavoli grandi si condividevano. Il cibo era diverso da tutti gli altri cinesi a Milano. Poco dopo la nascita del mio secondo figlio pero’ quel ristorante, ormai storico a Milano, ha chiuso.
Dopo qualche anno senza riferimenti, ho trovato poi altri due ristoranti, uno vicino all’altro, il Mon Cok all’inizio di via Padova e quello subito dopo, il Jubin 2.
Il Mon cok ora si chiama Wang Jiao, ma le persone sono le stesse, Serena e sua cognata Vivian lo gestiscono. Con loro, con la mia famiglia e gli amici, abbiamo sviluppato un’amicizia e una confidenza spontanea.
E’ nel loro ristorante che piano piano ho capito come cucinare cinese. Provando i loro piatti, chiedendo consigli, provando e riprovando da loro e poi a casa. La loro cucina non è quella standardizzata europea, anni ’80, con le salse cremose, ma è una cucina casalinga.
Il metodo di cucinare cinese è nella sua semplicità rivoluzionario (vedi anche articolo)
Un iter di cottura semplice, leggero, veloce, sano, attraverso cui altrettanto semplicemente accostare sapori, senza dover fare preparazioni lunghe e articolate. Tutto si cucina istantaneamente.
La risposta dei giornali a quella che hanno definito una pandemia, nelle ultime due settimane, è stata al limite dello sciacallaggio, un conto alla rovescia per l’arrivo del virus, senza nessuna informazione chiara su cosa fosse, sui reali rischi di contagio e soprattutto su come prevenire e curare (sono dovuto andare a trovare un articolo del Guardian per avere le idee più chiare e ridimensionare i miei timori articolo).
Essere cinesi a Milano vuol dire appartenere ad una città, dal punto di vista sociale basti pensare alla rivalutazione in atto in tutta la parte iniziale di via Padova e viale Monza, dovuta sostanzialmente al lavoro quotidiano della comunità cinese. Lo stesso miracolo che è avvenuto in Paolo Sarpi, sta avvenendo nella zona attorno Loreto, come in molte altre città italiane.
Tutte le materia prime, tutto il vino utilizzati nei ristoranti cinesi sono prodotti in Italia. I ristoranti cinesi ormai impiegano manodopera italiana, in sala e in cucina. Non c’è volta che non abbia avuto una ricevuta a fine pasto. Il loro contributo fiscale al Paese è altissimo.
Quando si va al ristorante Wang Jiao si respira un’aria internazionale, da cittadini del mondo, che difficilmente si respira in altri locali così accessibili a Milano. Colori, turbanti, lingue, generi, riempiono in maniera naturale il locale. Coppie, famiglie, bambini, anziani, giovani e giovanissimi, lingue si mischiano durante il pranzo e la cena, durante la settimana e il week end. Un’aria del genere si respira in questo locale da tanti anni, forse adesso inizia ad essere comune ad altre realtà Milanesi, ma dieci anni fa solo a Londra, avevo respirato un’aria simile.
L’amicizia di Serena, la sua sincera accoglienza, la sua pazienza, è lì sotto gli occhi di tutti.
Pensate che non abbiamo tutti figli che vanno a scuola a Milano?
Che non siamo ugualmente spaventati da questo al lupo al lupo orchestrato per creare paura e attenzione sui media?
Una strategia della paura che ha l’effetto di incollare i lettori in attesa dell’arrivo del mostro, ma soprattutto che ha scatenato un rifiuto, evitare persone e luoghi senza nessun motivo se non paure create artificialmente.
Domenica il ristorante era pieno a metà, famiglie “italiote” lo popolavano tra il reciproco imbarazzo e l’orgoglio di testimoniare a Serena che eravamo lì, che era bello esserci come sempre con qualcosa di assolutamente banale come una presenza.
Creare paura è un modo molto comodo di attirare attenzione. Fa riferimento ad una serie di suggestioni che vanno al di là della razionalità.
Io stesso sono stato preso dalla paura per i miei affetti, ho pensato a come avrei potuto proteggerli. Ma la mia paura ogni volta che si riaffacciava cercava conforto nelle notizie, che invece non facevano altro che alimentarla.
L’unico problema della paura, proprio perché irrazionale è che si tende a scaricarla in maniera altrettanto istintiva. La paura è facile da evocare ma altrettanto facile e incontrollata da gestire.
Le spese di questo conto la stanno pagando le comunità cinesi italiane.
“Non vado al ristorante cinese” è stata la maniera per sedare la paura.
Ma la paura sta diminuendo perché ci si sta rendendo conto di quanto la notizia sia stata cavalcata e gonfiata e quanto nonostante i numeri e le notizie tragiche, alla fine l’attenzione cali annoiata, perché a forza di non arrivare questa pandemia da film, assurdamente stufa.
Quello che è sicuro è come invece aumenti la nostalgia di essere in un luogo piacevole con persone che stanno lavorando per te in maniera calorosa e accogliente, la nostalgia di mangiare bene assieme a tutta la tua famiglia e ai tuoi amici vince.
E piano la paura nostra, e la paura di Serena che salutandoci ci ha detto “speriamo che sta’ cosa passi” …passa.
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